Una serata particolare
I gradini erano di legno, e una volta saliti, mi ritrovavo in palcoscenico.
A sinistra c'era la sartoria. Davanti invece, tra le quinte nere, c'era la scena prevista dal copione. A destra, con il sipario alzato, si vedeva la platea vuota, mentre qualcuno la stava ripulendo. Il direttore di scena invece, faceva prove tecniche per calare il sipario.
Dovevo attraversare tutto il palcoscenico per ritrovarmi al di là della scena, dove sulla sinistra c'era una rampa di scale che portava ai camerini.
Di solito faceva freddo, ma una volta arrivata nel mio, per riscaldarlo, chiudevo la porta ed accendevo tutte le luci.
Attaccato alla parete più grande, c'era il tavolo per il trucco. Aveva tre specchi, uno fisso e due semovibili, circondati da lampadine molto forti. Davanti allo specchio fisso, il tavolo era tagliato a semicerchio in modo da farci stare una sedia.
Sulla sinistra, c'era un armadio, un attaccapanni e un pò più in la, una poltrona.
Prima di tutto mi spogliavo, poi mi infilavo una vestaglia pesantissima per riscaldarmi un pò, e poi seduta in poltrona, aspettavo la sarta che mi avrebbe dato una mano per indossare il costume di scena.
Una volta vestita, mi sedevo davanti allo specchio centrale per controllare il trucco che mi serviva per quello spettacolo. Il truccarmi non era facile, c'era già la paura di non sentirmi nella parte, e c'era già il terrore di non ricordare più a memoria il copione.
A peggiorare il tutto, il megafono ampliava la voce del direttore di scena, che l'aveva aperto per strillarci dentro:
- Signori la mezza. Signori la mezza.
Questo voleva dire che mancava mezz'ora al sollevarsi del sipario.
Mi truccavo, ci perdevo anche più tempo del necessario, ma solo per dimenticare che una platea si stava riempiendo di spettatori che volevano ascoltare me, ed io invece non avevo niente da dire a loro; non ricordavo più nulla. Dentro di me c'era solo il vuoto, solo paura incontenibile, ma nonostante tutto, il megafono infischiandosene, riprendeva a strillare:
- Signori, meno un quarto. Signori, meno un quarto.
Dopo il " meno un quarto", la paura aumentava.
Qualcuno busso alla mia porta: - Lu sei pronta?
- Se non ti sbrighi a sparire, non lo sarò mai!
Il tempo incalzava, la paura diventava incontrollabile.
Al di fuori del camerino, c'era un brusio incredibile. Chi il vestito ce l'aveva troppo largo, chi ce l'aveva troppo lungo.
Allora non si trattava più di brusio, ma di urla terrificanti di attori con voci decisamente impostate.
- Inciampoooooooo, accorcia immediatamente questo schifo di vestito o t'ammazzo all'istante.
- Un temperamatite, per favore, un temperamatite! Mi si è rotta la matita! Chi ha da prestarmi una matita nera?
- Ragazzi, aiuto ho mal di pancia, pure la spalla mi fa male!
- Dove sono le scarpe, maledizione! Chi mi ha fregato le scarpe?
- Non mi ricordo più la parte! Mio Dio, come faccio? Che dico?
Il megafono insisteva, senza darci respiro:
- Signori, meno cinque. Signori, meno cinque.
Dopo cinque minuti, altro megafono. L'ultimo!
- Signori, chi è di scena? Signori chi è di scena?
Chi doveva entrare in scena, scendeva in palcoscenico, dove i riflettori erano accesi. C'era anche il vigile del fuoco, vicino al pannello di controllo e una musica di sottofondo animava vagamente l'ambiente. Il sipario era di velluto rosso, e lentamente s'alzava, e mentre s'alzava, altre luci dei riflettori piazzati in platea, illuminavano la scena che stava prendendo vita.
Non si vedeva e non si sentiva più nulla, nemmeno la polvere.
La paura c'era sempre dietro le quinte, ma in palcoscenico no. A questo punto c'era solo magia. C'era solo verità, quella verità che noi non conosciamo, ma il nostro cuore, si.
Ricordo che alla fine del terzo atto, mi trovavo nel centro della scena con il ragazzo che amavo tanto inginocchiato ai miei piedi. Gli accarezzavo i capelli biondi dolcemente, lo baciavo in fronte, e gli dicevo con tanto amore, mentre lacrime silenziose scendevano dai miei occhi:
- Tu che sei un poeta, scrivi dei versi con le parole che ti dirò: quando io avrò trent'anni, lei ne avrà quarantacinque. Quando io ne avrò quarantacinque, lei ne avrà sessanta.
Lui, si alzò, mi abbracciò, come se da me non dovesse staccarsi mai più e mi rispose:
- Io, ho qualche cosa di meglio. Tra cento anni, avremo la medesima età.
Mi tenne stretta a se per l'ultima volta e poi se ne andò nel freddo della notte. Non sarebbe ritornato mai più.
C'erano lacrime che scendevano dai miei occhi, lacrime vere, perchè la sofferenza c'era, ed era tanta. Il ragazzo che adoravo se n'era andato.
Avrei vissuto per il resto della mia vita accanto a mio marito che non amavo più, ma avevo deciso di viverci insieme solo perchè lui era il più debole, ed era lui, ad aver bisogno di me. Era una decisione mia, ma anche la sofferenza era mia.
Tutta mia.
Le luci andarono in dissolvenza ed il pubblico applaudì e continuò ad applaudire. Ma io soffrivo ancora.
Gli applausi, solo quelli mi riportarono alla realtà.
Lo spettacolo era finito e la magia pure.
Un cesto di fiori era accanto a me.
Un mazzo di rose rosse era tra le mie braccia, ed il pubblico sorridente mi applaudiva, ed io sorridevo. Sorridevo al mio pubblico e le lacrime non c'erano più.
Arrivai in proscenio per ringraziare. Un bambino salì in palcoscenico dalle scale laterali, mi dette un bacio e mi regalò una camelia.
In camerino misi il cesto di fiori vicino alla poltrona, e le rose nel vaso di vetro sul tavolo vicino allo specchio semovibile.
Poi mi cambiai e misi il cappotto di sempre, ma sulla sinistra, sotto il collo, appuntai la mia splendida camelia.
Quando uscii, attraversai il palcoscenico buio ed impolverato come sempre.
La magia non c'era più.
Lasciai alle spalle il palcoscenico e cercai quei gradini di legno che quattro ore prima avevo fatto in salita, per poter vivere un emozione fantastica, solo mia.
Mi ritrovai in strada, quella di sempre. Non c'erano più, ne grandi attori, ne piccoli, c'erano solo attori infreddoliti.
- Chi vuole qualcosa di caldo, caldo da bere? Offro io.
- Questa sera no, caro, ma domani ci conto. Sono troppo stanca per qualsiasi cosa, questa sera.
- Per qualsiasi cosaaaaaaaa!!!????!!!?!?!
- Per qualsiasi cosa.
- Guarda che quello a cui penso io, riscalda.
- Ne sono sicura, ma io voglio solo dormire. E basta!
- Baci a tutti ragazzi, a domani.
- Baci, baci.
Ognuno di noi se ne tornò alla sua casa, ma sul mio cappotto c'era una camelia. L'accarezzai.
Ero felice