lunedì 28 novembre 2011

CAP. XI°

Giovedì, 02 Marzo 2006

CAP. XI°

La guerra finì. Io non me n'accorsi nemmeno, però fu così.
Era il 1945.
Un giorno, non so come, arrivò a casa una gigantesca enorme e tricolore bandiera.
Bandiera utilissima, perchè con la striscia rossa, la nonna mi fece un vestitino eccezionale. Le camicie di papà erano finite.
Ero emozionata! Non avevo mai avuto un vestito rosso. Ma quella volta lo ebbi.
Andammo a fare una passeggiata sul lungomare dove incontrammo degli alleati che mi regalarono della gomma da masticare. Quando ritornammo verso casa, scartai una gomma. Sapeva di zucchero, però più masticavo, più dovevo ancora masticare. Insomma tutta una faticaccia per niente. Mi scocciai, avrei voluto sputarla, ma non sarebbe stato educato, così l'igoiai, e fu finita.
Che schifezza la gomma!
La guera era finita, la pace stava per cominciare, ma se incominciava con gomme da masticare, ne avremmo viste delle belle!
Chissà cosa voleva dire " pace " ? Non ero mai vissuta in tempi di quel genere.         
Che il tempo fosse di pace, però ancora non me ne'ero accorta.
Quando la mamma mi portava fuori con se, c'erano sempre dimostrazioni che finivano in risse piuttosto gravi. C'erano sempre vetrine in frantumi ed uomini feriti e contusi, e qualche volta pure ammazzati per vendette private.
Una volta salimmo in un appartamento in via di smantellamento. Era una casa di ebrei. C'erano tanti libri che venivano buttati via e mi sembrò una cosa spaventosa, perchè per me i libri bisognava tenerli con cura.
Mi allontanai e andai a nascondermi dietro ad una porta dove non c'era nessuno. Però proprio dietro a quella porta invece, c'era un triciclo.
Chissà di chi era! O di chi era stato! Dov'era adesso il padrone del triciclo?
Dove fosse finito quel bambino, me lo chiesi per tanto tempo. Forse me lo sto chiedendo ancora ora. E' vivo, o è finito in un forno crematorio?
In un modo o nell'altro il tempo passava.
Un giorno suonò il campanello e la mamma mi mandò ad aprire la porta.
L'aprii ad un uomo in divisa verde, il quale entrò in casa e mi sembrò simpatico, allora lo presi per mano e lo portai in camera, per fargli vedere la foto del babbo.
- Vedi? Quello è il mio papà.
Non ricordo cosa rispose, ma ben presto capii, che il mio papà, non era una foto, ma era quell'uomo che mi era apparso sulla porta d'entrata, tutto vestito di verde militare.
Avevo cinque anni e quell'uomo per me, era un estraneo. Un intruso. Avrei mai imparato a conoscerlo e a viverci insieme?
Chissà! Avrei dovuto provarci. Forse avrei potuto anche riuscirci..........Forse no. Però dovevo tentare.
Era appena finito un conflitto. Perchè doveva incominciarne subito un altro?
Mi venne in mente che quando ero piccola, desideravo una vita a forma di fiocco. Purtroppo sentii che non l'avrei mai avuta.
Allora me n'andai sulla finestra del bagno per guardare il cielo, il canale e le mie cupole. Avevo bisogno di sicurezza.
Di sicurezza e tanto coraggio, e non ero sicura d'avere tutto ciò.
Ero tanto stanca. E non avrei dovuto esserlo, perchè in fondo la mia vita incominciava allora.
Sentivo il bisogno di qualche cosa che ancora non conoscevo.
Fu in quel momento che capii.
Capii la necessità assoluta di imparare a ridere.



postato da: Lucmerenda1 alle ore 06:11 | Link commenti (2) 
Commenti:

#1 02 Agosto 2006 - 20:09
Imparare a ridere! detta da una bambina è grave. E l'uomo continua a farsi guerra.rosy
utente anonimo

#2 04 Agosto 2006 - 07:35
Sì Rosy, ho cercato d'imparare a ridere, ma non ci sono mai riuscita. Perlomeno spontaneamente.
Ho imparato a ridere tecnicamente a scuola di teatro. Ci riuscivo anche bene, ma era sempre tecnica.
Luc
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