CAP. X°
Con tutta la farina che avevamo, un giorno andammo dalla zia Amelia che possedeva un forno elettrico, per fare del pane fresco.
Mi piaceva andare dalla zia, anche perchè mio cugino Andrea era il mio cugino preferito. Era più grande di me e mi faceva scherzi paurosissimi, ma l'affetto che provavo per lui, era più grande del panico che lui procurava a me. Quando arrivavo, si travestiva esclusivamente per me, sempre da volpe. E le volpi mi spaventavano.
Dopo le volpi, ci fu il periodo dei sassolini del giardino.
Ci tirammo dietro milioni di sassi, prima di diventare grandi, ma Andrea fu sempre il mio Andrea.
Il profumo del pane che si stava cucinando nel forno, era paradisiaco.
Una volta cotto, ne lasciammo un pò a zia e il resto lo mettemmo in una grande borsa e la chiudemmo.
Con la borsa piena ritornammo a casa, ma non potemmo nascondere il profumo meraviglioso del pane ancora caldo.
Per Via Commerciale c'era un profumo che raramente si riusciva a sentire a quei tempi e questo ci fece vergognare per quella moltitudine di persone affamate, che non potevano permettersi nulla.
Ci avrebbero potuto ammazzare solo per rubarci la borsa del pane, però nessuno lo fece.
Alla fine di Via Commerciale, sia io sia la mamma ci fermammo di colpo, come due statue di sale.
Davanti a noi, c'era il terrore. Proprio nell'albergo davanti ai nostri occhi, al centro di tutte le finestre, sulla trave superiore dell'intelaiatura, c'era un uomo impiccato.
Erano morti già da un pò di tempo. Infatti, avevano un colore scuro, bluastro e la lingua, penzolava dalle loro bocche aperte. Da tante bocche aperte.
Gli impiccati erano tantissimi. Non c'era una finestra vuota.
Mi venne in mente la legge: " Dieci italiani per un tedesco ".
Una legge che era stata apena varata ed immediatamente applicata.
Attraversammo la strada e dopo pochi metri, il mio subconscio dimenticò quello che aveva appena visto.
Vide, ma non ricordò più nulla.
Tornammo a casa, cenammo e poi andai a dormire.
Quella notte mi svegliai tutta sudata, e disperata: avevo sognato impiccati.
Nell'arco degli anni futuri avrei sognato impiccati, tutte le notti. Impiccati carbonizzati, impiccati su alberi spogli, impiccati che non mi permettevano di attraversare una stada.
Fu un incubo, che finì solo venticinque anni più tardi, quando casualmente, la mamma mi raccontò cos'era successo quel tragico pomeriggio di tanto tempo addietro.
Dopo il racconto della mamma, non li sognai mai più
Con tutta la farina che avevamo, un giorno andammo dalla zia Amelia che possedeva un forno elettrico, per fare del pane fresco.
Mi piaceva andare dalla zia, anche perchè mio cugino Andrea era il mio cugino preferito. Era più grande di me e mi faceva scherzi paurosissimi, ma l'affetto che provavo per lui, era più grande del panico che lui procurava a me. Quando arrivavo, si travestiva esclusivamente per me, sempre da volpe. E le volpi mi spaventavano.
Dopo le volpi, ci fu il periodo dei sassolini del giardino.
Ci tirammo dietro milioni di sassi, prima di diventare grandi, ma Andrea fu sempre il mio Andrea.
Il profumo del pane che si stava cucinando nel forno, era paradisiaco.
Una volta cotto, ne lasciammo un pò a zia e il resto lo mettemmo in una grande borsa e la chiudemmo.
Con la borsa piena ritornammo a casa, ma non potemmo nascondere il profumo meraviglioso del pane ancora caldo.
Per Via Commerciale c'era un profumo che raramente si riusciva a sentire a quei tempi e questo ci fece vergognare per quella moltitudine di persone affamate, che non potevano permettersi nulla.
Ci avrebbero potuto ammazzare solo per rubarci la borsa del pane, però nessuno lo fece.
Alla fine di Via Commerciale, sia io sia la mamma ci fermammo di colpo, come due statue di sale.
Davanti a noi, c'era il terrore. Proprio nell'albergo davanti ai nostri occhi, al centro di tutte le finestre, sulla trave superiore dell'intelaiatura, c'era un uomo impiccato.
Erano morti già da un pò di tempo. Infatti, avevano un colore scuro, bluastro e la lingua, penzolava dalle loro bocche aperte. Da tante bocche aperte.
Gli impiccati erano tantissimi. Non c'era una finestra vuota.
Mi venne in mente la legge: " Dieci italiani per un tedesco ".
Una legge che era stata apena varata ed immediatamente applicata.
Attraversammo la strada e dopo pochi metri, il mio subconscio dimenticò quello che aveva appena visto.
Vide, ma non ricordò più nulla.
Tornammo a casa, cenammo e poi andai a dormire.
Quella notte mi svegliai tutta sudata, e disperata: avevo sognato impiccati.
Nell'arco degli anni futuri avrei sognato impiccati, tutte le notti. Impiccati carbonizzati, impiccati su alberi spogli, impiccati che non mi permettevano di attraversare una stada.
Fu un incubo, che finì solo venticinque anni più tardi, quando casualmente, la mamma mi raccontò cos'era successo quel tragico pomeriggio di tanto tempo addietro.
Dopo il racconto della mamma, non li sognai mai più