martedì 29 novembre 2011

Il racconto di una vita.

Domenica, 19 Febbraio 2006
 Il racconto di una vita.

  " Lu e Gio' "
Per mantenere vivo il ricordo di Lucmerenda

postato da: Lucmerenda1 alle ore 05:46 | Link commenti (13)


#1 14 Marzo 2007 - 07:27
buongiorno Lucia cara un bacio Giancarlo
utente anonimo

#2 14 Marzo 2007 - 08:12

lunedì 28 novembre 2011

Ricordando Lu

Ricordando Luc

Inizio con un post finale di Lucmerenda
Chi era Lucmerenda?
Una Donna che ha saputo lottare e soffrire conservando sempre la sua ironia.


 Ci conoscemmo in rete, diventammo amiche, per due anni ci siamo sentite telefonicamente,  anche tutti i giorni,  poi  ci perdemmo di vista,  ogni tanto   le scrivevo ma non c'era mai risposta.
Sapevo molto bene che la malattia di Luc   stava peggiorando, anche quando ci parlavamo per telefono  le ultime volte la sua  voce non era più la stessa e neppure Lei.

Ritorno a casa

Domenica, 19 Febbraio 2006

Ritorno a casa
....ò.........

Dopo tanto tempo, finalmente sono ritornata a casa. Alla mia vecchia casa di sempre e dai miei amici.
Ora finalmente sono qui, tra coloro che amo, i quali fanno parte della mia vita e mi sento serena e felice. In casa non c'è nessuno. Si sente solo l'orologio della cucina scandire i minuti del tempo che passa.
Scendo in giardino, anche lui silenzioso. Allora mi siedo e ascolto le voci dei miei ricordi. Mi sembra di sentire voci di bimbi ormai cresciuti, voci di amici lontani spariti nel turbinio della vita, sento l'abbaiare di un cane e il miagolio di un gatto che ormai non esistono più.
Mi alzo e mi avvicino al ponticello di legno e guardo l'acqua scorrere sotto di me. Guardo gli alberi, ma nulla è più come prima.
Accarezzo un cespuglio fiorito e sento tanto amore per lui.
Poi m'inginocchio tra l'erba e raccolgo un fiore.
Non è soltanto un fiore; è vita.
Abbandono i ricordi.
Il mio cuore sorride a tutti gli amici che tra un po' ritroverò qui, vicino a me. Tutti quegli amici che sanno riscaldare il mio cuore e strapparmi un sorriso di gioia.



postato da: Lucmerenda1 alle ore 10:36 | Link commenti (5) 
Commenti:

#1 06 Luglio 2006 - 05:08
...camminare tra i ricordi, ascoltare voci lontane,scomparse e mai dimenticate.Avvertire vecchi profumi di tempi passati.Immaginare figure di un tempo che rendevano vivo e vivace il posto...che adesso assapori interamente nel suo splendido,immenso,doloroso,nostalgico ed affascinante silenzio...
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#2 07 Luglio 2006 - 04:09
E' proprio nel silenzio che i ricordi ritornano alla mente. Nel silenzio li puoi anche rivivere. Chiudi gli occhi, e ricordi, e vedi, e senti........
Grazie baronerosso.
Luc
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#3 24 Luglio 2006 - 13:46
Tra i tuoi amici spero di esserci anch'io un bacio rosy
utente anonimo

#4 25 Luglio 2006 - 05:40
Non dubitarlo nemmeno Rosy.
Luc
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#5 29 Giugno 2008 - 16:31
BOREALE

[..] I RACCONTI DI LUCMERENDA chi sono commenti recenti archivio oggi --- 2007 --- luglio 2007 --- 2006 --- marzo 2006 febbraio 2006 categorie racconti links BLOGFRIENDS:) casastreghina La Torre di Babele UNA STRADA DA PERCORRERE [ Il gabbiano ] [..]
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Una giornata da ricordare

Lunedì, 27 Febbraio 2006
Una giornata da ricordare
Ero stanchissima, mi sedetti sulla mia carrozzina a rotelle e poi aprì la porta di ferro che dava sulla terrazza. Da li potevo vedere un panorama bellissimo. Gli alberi giganteschi, il fiumiciattolo, il salice piangente e quello che avevo sempre amato per tutta la vita: la mia terra. Chissà ancora per quanto tempo avrei potuto gioire per quello che possedevo.
Ero molto ammalata ed ogni giorno che sorgeva, per me avrebbe potuto essere l'ultimo. Ieri sera ho rivisto i miei amici più cari. Abbiamo parlato quasi tutta la notte, ma la cosa più bella era guardarci. Esteriormente eravamo tutti invecchiati, ma dentro di noi eravamo giovani e freschi come una folata di primavera. Chiacchierammo a lungo, poi accendemmo un fuoco e ci sedemmo intorno. Come tanti bambini, tutti mi chiesero di raccontare una storia, ed io allora come tanti anni prima, li accontentai:
"C'era una volta, tanto, ma tanto tempo fa, un isola nell'oceano più profondo, protetta da scogli enormi e piena d'alberi contorti dal vento. Il suo sibilo ed il frangersi delle o­nde gigantesche sugli scogli, rendevano impossibile la vita su quella terra dimenticata da Dio.
Era un' isola fantasma, come la nave dell'Olandese volante.
Era un' isola che nessuno aveva mai visto, tranne Lu e Giò.
Era la loro isola segreta.
Nel cuore dell'isola sorgeva un castello, bellissimo, e all'interno, erano raccolte le opere più belle dell'universo, e degli archi marmorei, sostituivano le porte e le finestre che erano state demolite millenni addietro. Ogni arco aveva una tenda leggerissima e bianca.
L'anima di Lu, passeggiava per quelle stanze ogni tredicesima notte. Ed essa amava, che tutte le tende si muovessero volteggianti sulle ali delle correnti ventose e al ritmo  della musica, imposto  sia dal  vento, che dalle
o­nde del mare.
Lu e Giò si ritrovavano su quell'isola tutte le volte che una stella moriva nel cielo, e restavano nel loro paradiso personale, finchè una nuova stella non spuntava all'orizzonte.
Si ritrovavano per un sorriso, per un tocco gentile, per un rinnovo d'amore."

Le ore passarono, Il fuoco s'era spento da tempo, così ci alzammo in silenzio, ci sorridemmo e ci abbracciammo, e poi ognuno se ne andò per la sua strada. Io salii le scale di casa appoggiandomi al bastone ed alla ringhiera, poi una volta arrivata al piano superiore, mi sedetti in carrozzina a rotelle.
Fu una giornata bellissima, piena di calore umano, ora però era finita.
Domani chissà! Il domani, è sempre una nuova avventura.
Si vedrà.





postato da: Lucmerenda1 alle ore 00:51 | Link commenti (3) 
Commenti:

#1 02 Marzo 2007 - 15:25
si vedrà....
grazie...mi sono emozionata :-)
Utente: TYTTY_ Contattami Guarda il mediablog (foto, audio e video) di questo utente.TYTTY_

#2 03 Marzo 2007 - 04:47
Cara TYTTY_ il domani è sempre imprevedibile. Grazie per essere passata a trovarmi.
Luc
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#3 29 Giugno 2008 - 16:31
BOREALE

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Una giornata difficile

Lunedì, 27 Febbraio 2006
Una giornata difficile
Dalla terrazza vedevo una giornata bellissima e sulla mia pelle sentivo il calore del sole.
Bloccai la carrozzina con i freni e sollevai gli appoggiapiedi per potermi alzare. Sentivo il desiderio di appoggiarmi alla ringhiera per guardare il mio fiumiciattolo, ma alla ringhiera non ci arrivai mai. Le ginocchia cedettero ed io caddi a terra; non ebbi la forza di risollevarmi.
Con estrema fatica, solo con la forza delle braccia, mi trascinai fino alla camera, arrivai al comodino, presi il telefono e chiamai mia figlia. Non ebbi la forza di rimettere la cornetta al suo posto; la lasciai sul pavimento.
Il pavimento era freddo e dopo un po' incominciai a battere i denti, ma mia figlia e Ornella, la mia donna di servizio, sarebbero arrivate tra poco.
Per fortuna arrivarono insieme, però anche se spaventate, mi spogliarono e mi fecero indossare un pigiama pesante. Con estrema fatica mi misero a letto con il termoforo al massimo.
Dopo un po' mi ripresi dal freddo e mia figlia mi fece bere qualcosa di caldo, poi si sedette sul letto accanto a me e mi raccontò una delle mie storie fantastiche che a me piacevano tanto:
- C'era una volta Sargon, un pianeta lontano. A Sargon, fuori dalla grotta, c'era la tempesta. Una tempesta di sale, di neve e grandine. Il cielo infuriato, scaricò contro la grotta di Giò, oltre alla tempesta, anche la furia del vento, la disperazione della pioggia corrosiva, e la furia di tutti gli elementi.
L'accesso alla grotta, una volta di pietra nera, era segnato e marchiato dallo stillicidio del clima avverso, ma la porta vera e propria, era incrollabile. Era di pietra dura e acciaio, incastonata di zaffiri e d'oro puro.
All'interno, la tempesta era lontanissima anni luce. Pellicce pregiate coprivano il pavimento e nell'immenso camino, c'era un fuoco scoppiettante.
Accanto ad esso, Lu e Gio' non avevano bisogno di parole per comunicare; i pensieri erano telepatici. Erano millenni che comunicavano così. Erano millenni che avevano bisogno solo di loro stessi. Sapevano, che la furia degli elementi, non avrebbe mai potuto vincere la furia dei loro sentimenti.
Le fiamme nel camino, riflettevano la loro luce sulle pareti della grotta e tutto sembrava in movimento, e allo stesso tempo immobile nel tempo. Immobile e per sempre come il sorriso dei loro occhi, che avrebbero sfidato il tempo, per raggiungere l'immortalità. Lu appoggiò la testa sulla spalla di Giò, e Giò appoggiò la sua sulla testa di Lu. Assaporarono il piacere del contatto, poi si baciarono.
Fu magico.
Tutto sparì.
Rimase solo un sorriso d'amore.
Gli occhi si chiusero dal sonno e mi addormentai.
Sognai un'isola in mezzo all'oceano, e sognai anche una porta di pietra dura e acciaio, incastonata di zaffiri e d'oro puro. Poi, non ricordo quello che sognai, ci fu solo il buio.
Dal letto non mi rialzai mai più, ma il mio cuore era pieno di ricordi, e se chiudevo gli occhi, potevo rivedere quello che desideravo.
Non ero nemmeno triste: l'avevo sempre saputo che sarebbe finita così.
Era previsto.
postato da: Lucmerenda1 alle ore 01:14 | Link commenti

Il burattinaio magico

Lunedì, 27 Febbraio 2006
Il burattinaio magico
 
Tra il dormiveglia e il sonno ricordai un episodio avvenuto tanto tempo fa.
Un giorno fui assunta da un burattinaio magico per muovere un 
piccolo-grande personaggio di nome Topo Gigio.
Quando mi presentai al laboratorio, era buio, ma Mario mi fece vedere la prima porta a sinistra, dove stava il mio mini appartamentino, e mi disse:
- Ci vediamo domani . Poi se ne andò.
Mi organizzai un pò e feci anche un bagno. Poi decisi che sarebbe stato carino conoscere i miei colleghi di lavoro, ma mentre mi rinfrescavo, loro se n'erano andati. Non c'era rimasto più nessuno.
Ero sola.
Uscii dall'appartamentino e mi trovai nell'ingresso del laboratorio. Era un corridoi lungo e buio. Accesi la luce, ma era fioca e vidi qualcosa che non avevo mai visto prima: mi sembrò di essere nella casa incantata del giocattolaio magico.
Mi avviai verso la parete destra, dove stavano vari topi di gomma piuma senza vita, appoggiati su scaffali pieni di cartoni multicolori, stoffe di vario tipo e tanti mobili in miniatura.
Poi aprii una porta a sinistra del corridoio e accesi la luce.
Sulla destra c'era un tavolo, ma tra questo e la finestra, sulle pareti c'erano dipinti molti alberi e c'erano anche tre zucche appese al soffitto.
Zucche con dei lunghi capelli grigi e degli occhi e delle bocche dipinte all'insegna della tragedia. Da sotto queste teste straordinarie, pendevano tanti veli di colori diversi, tutti scuri. Tanti strati di velo che partivano dal collo solo con le punte, allargandosi dopo, a dismisura, per poi restringersi nuovamente e ritornare a punta, a livelli diversi di  lunghezza, alcuni dei quali arrivavano quasi al pavimento.
Faceva molto caldo, così aprii la finestra della stanza per far entrare un pò d'aria. Mi sedetti sulla tavola e vidi qualcosa di straordinario. Con l'entrata del vento, i veli attaccati alle zucche, incominciarono a gonfiarsi e a muoversi, ed anche i capelli si muovevano a seconda del muoversi del vento. Non potevo credere: le zucche prendevano vita. I veli si muovevano e si allargavano volteggiando, e le zucche sembravano streghe che si muovevano e sghignazzavano.
Rimasi a bocca aperta. Con un filo di voce chiamai:
- Ecate!
Ma Ecate non rispose.
Ero in mezzo ad una foresta. Anche le streghe incorporee erano li e volteggiavano nell'aria e tra gli alberi. Il cielo era scuro e la notte fonda.
- Macbeth, Shakespeare, Ecate, dove siete?
Un refolo di vento chiuse la porta, e i veli si appiattirono. Io chiusi la finestra e mi trovai in una stanza spoglia, con tre zucche e quattro stracci impolverati.
Il telefono stava suonando. Era Poli che mi chiamava da Venezia. Mi disse che c'era in programma una tournèe in Turchia:
- Vieni con noi?
- Si. Risposi. Per quando devo essere a Venezia?
- Tra un mese, ti va bene?
- Si. Risposi.
- OK, a tra un mese! Ciao.
Non so perchè, ma non volevo più stare qui. Volevo andare lontano dai giocattolai magici, e la Turchia mi sembrava lontana abbastanza. Volevo andare via da un posto irreale, dove Ecate probabilmente, non c'era stata mai.
Volevo qualche cosa di concreto, volevo qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo. Non volevo nient'altro.
Solo qualcosa di vero.
postato da: Lucmerenda1 alle ore 05:06 | Link commenti

Una serata particolare

Lunedì, 27 Febbraio 2006
Una serata particolare

I gradini erano di legno, e una volta saliti, mi ritrovavo in palcoscenico.
A sinistra c'era la sartoria. Davanti invece, tra le quinte nere, c'era la scena prevista dal copione. A destra, con il sipario alzato, si vedeva la platea vuota, mentre qualcuno la stava ripulendo. Il direttore di scena invece, faceva prove tecniche per calare il sipario.
Dovevo attraversare tutto il palcoscenico per ritrovarmi al di là della scena, dove sulla sinistra c'era una rampa di scale che portava ai camerini.
Di solito faceva freddo, ma una volta arrivata nel mio, per riscaldarlo, chiudevo la porta ed accendevo tutte le luci.
Attaccato alla parete più grande, c'era il tavolo per il trucco. Aveva tre specchi, uno fisso e due semovibili, circondati da lampadine molto forti. Davanti allo specchio fisso, il tavolo era tagliato a semicerchio in modo da farci stare una sedia.
Sulla sinistra, c'era un armadio, un attaccapanni e un pò più in la, una poltrona.
Prima di tutto mi spogliavo, poi mi infilavo una vestaglia pesantissima per riscaldarmi un pò, e poi seduta in poltrona, aspettavo la sarta che mi avrebbe dato una mano per indossare il costume di scena.
Una volta vestita, mi sedevo davanti allo specchio centrale per controllare il trucco che mi serviva per quello spettacolo. Il truccarmi non era facile, c'era già la paura di non sentirmi nella parte, e c'era già il terrore di non ricordare più a memoria il copione.
A peggiorare il tutto, il megafono ampliava la voce del direttore di scena, che l'aveva aperto per strillarci dentro:
- Signori la mezza. Signori la mezza.
Questo voleva dire che mancava mezz'ora al sollevarsi del sipario.
Mi truccavo, ci perdevo anche più tempo del necessario, ma solo per dimenticare che una platea si stava riempiendo di spettatori che volevano ascoltare me, ed io invece non avevo niente da dire a loro; non ricordavo più nulla. Dentro di me c'era solo il vuoto, solo paura incontenibile, ma nonostante tutto, il megafono infischiandosene, riprendeva a strillare:
- Signori, meno un quarto. Signori, meno un quarto.
Dopo il " meno un quarto", la paura aumentava.
Qualcuno busso alla mia porta: 
- Lu sei pronta?
- Se non ti sbrighi a sparire, non lo sarò mai!
Il tempo incalzava, la paura diventava incontrollabile.
Al di fuori del camerino, c'era un brusio incredibile. Chi il vestito ce l'aveva troppo largo, chi ce l'aveva troppo lungo.
Allora non si trattava più di brusio, ma di urla terrificanti di attori con voci decisamente impostate.
- Inciampoooooooo, accorcia immediatamente questo schifo di vestito o t'ammazzo all'istante.
- Un temperamatite, per favore, un temperamatite! Mi si è rotta la matita! Chi ha da prestarmi una matita nera?
- Ragazzi, aiuto ho mal di pancia, pure la spalla mi fa male!
- Dove sono le scarpe, maledizione! Chi mi ha fregato le scarpe?
- Non mi ricordo più la parte! Mio Dio, come faccio? Che dico?
Il megafono insisteva, senza darci respiro:
- Signori, meno cinque. Signori, meno cinque.
Dopo cinque minuti, altro megafono. L'ultimo!
- Signori, chi è di scena? Signori chi è di scena?
Chi doveva entrare in scena, scendeva in palcoscenico, dove i riflettori erano accesi. C'era anche il vigile del fuoco, vicino al pannello di controllo e una musica di sottofondo animava vagamente l'ambiente. Il sipario era di velluto rosso, e lentamente s'alzava, e mentre s'alzava, altre luci dei riflettori piazzati in platea, illuminavano la scena che stava prendendo vita.
Non si vedeva e non si sentiva più nulla, nemmeno la polvere.
La paura c'era sempre dietro le quinte, ma in palcoscenico no. A questo punto c'era solo magia. C'era solo verità, quella verità che noi non conosciamo, ma il nostro cuore, si.
Ricordo che alla fine del terzo atto, mi trovavo nel centro della scena con il ragazzo che amavo tanto inginocchiato ai miei piedi. Gli accarezzavo i capelli biondi dolcemente, lo baciavo in fronte, e gli dicevo con tanto amore, mentre lacrime silenziose scendevano dai miei occhi:



- Tu che sei un poeta, scrivi dei versi con le parole che ti dirò: quando io avrò trent'anni, lei ne avrà quarantacinque. Quando io ne avrò quarantacinque, lei ne avrà sessanta.
Lui, si alzò, mi abbracciò, come se da me non dovesse staccarsi mai più e mi rispose:
- Io, ho qualche cosa di meglio. Tra cento anni, avremo la medesima età.
Mi tenne stretta a se per l'ultima volta e poi se ne andò nel freddo della notte. Non sarebbe ritornato mai più.
C'erano lacrime che scendevano dai miei occhi, lacrime vere, perchè la sofferenza c'era, ed era tanta. Il ragazzo che adoravo se n'era andato.
Avrei vissuto per il resto della mia vita accanto a mio marito che non amavo più, ma avevo deciso di viverci insieme solo perchè lui era il più debole, ed era lui, ad aver bisogno di me. Era una decisione mia, ma anche la sofferenza era mia.
Tutta mia.
Le luci andarono in dissolvenza ed il pubblico applaudì e continuò ad applaudire. Ma io soffrivo ancora.
Gli applausi, solo quelli mi riportarono alla realtà.
Lo spettacolo era finito e la magia pure.
Un cesto di fiori era accanto a me.
Un mazzo di rose rosse era tra le mie braccia, ed il pubblico sorridente mi applaudiva, ed io sorridevo. Sorridevo al mio pubblico e le lacrime non c'erano più.
Arrivai in proscenio per ringraziare. Un bambino salì in palcoscenico dalle scale laterali, mi dette un bacio e mi regalò una camelia.
In camerino misi il cesto di fiori vicino alla poltrona, e le rose nel vaso di vetro sul tavolo vicino allo specchio semovibile.
Poi mi cambiai e misi il cappotto di sempre, ma sulla sinistra, sotto il collo, appuntai la mia splendida camelia.
Quando uscii, attraversai il palcoscenico buio ed impolverato come sempre.
La magia non c'era più.
Lasciai alle spalle il palcoscenico e cercai quei gradini di legno che quattro ore prima avevo fatto in salita, per poter vivere un emozione fantastica, solo mia.
Mi ritrovai in strada, quella di sempre. Non c'erano più, ne grandi attori, ne piccoli, c'erano solo attori infreddoliti.
- Chi vuole qualcosa di caldo, caldo da bere? Offro io.
- Questa sera no, caro, ma domani ci conto. Sono troppo stanca per qualsiasi cosa, questa sera.
- Per qualsiasi cosaaaaaaaa!!!????!!!?!?!
- Per qualsiasi cosa.
- Guarda che quello a cui penso io, riscalda.
- Ne sono sicura, ma io voglio solo dormire. E basta!
- Baci a tutti ragazzi, a domani.
- Baci, baci.
Ognuno di noi se ne tornò alla sua casa, ma sul mio cappotto c'era una camelia. L'accarezzai.
Ero felice

postato da: Lucmerenda1 alle ore 05:28 | Link commenti (4) 
Commenti:

#1 28 Marzo 2006 - 23:20
Oddio, centinaia di serate così nella mia (prima) vita. Hai fatto risuscitare i rumori le voci le atmosfere, persino gli odori, di quei momenti.
Brava.
utente anonimo

#2 29 Marzo 2006 - 05:30
Grazie. Resuscitare certi ricordi è facile: non si dimenticano mai.
Luc
Utente: Lucmerenda1 Contattami Guarda il mediablog (foto, audio e video) di questo utente.Lucmerenda1

#3 21 Dicembre 2006 - 12:43
Lucia sei splendida,sai ke amk'io ho vissuto momenti così?Hai capito sono Giancarlo
utente anonimo

#4 21 Dicembre 2006 - 17:50
Grazie Giancarlo, il tempo vissuto in teatro non si dimenticano mai. Luc
Utente: Lucmerenda1 Contattami Guarda il mediablog (foto, audio e video) di questo utente.Lucmerenda1
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