CAP. II°
Avevo otto mesi, quando la guerra scoppiò. Lo ricordo come un flash. Un flash di paura atavica. Una paura che non si può fare a meno di capire e di sentire, nemmeno a quell'età.
Saranno state le sei di sera, visto che la luce era accesa ed io ero in braccio a mia madre pronta per essere messa a letto.
La mamma era appoggiata proprio sullo stipite della porta della camera, vicino alla cucina, quando la mia nonna arrivò a casa con un giornale in mano.
- Siamo in guerra. Non disse altro.
La mamma non fiatò, e io non capii cosa volesse dire guerra, ma capii che come la nonna disse quella parola, la casa tutta, si riempì di paura.
Paura e silenzio.
- Dobbiamo cercare Mario e Aurelio, devono presentarsi per l'arruolamento. Disse la nonna.
Queste furono le ultime parole che sentii. Poi dormii, alla grande, come una bimba d'otto mesi.
Ero troppo piccola per notare differenze tra prima e dopo lo scoppio della guerra, ma l'unica cosa che mi colpì fu che le finestre, dopo l'inizio del conflitto, quando arrivava l'ora di accendere la luce, venivano accuratamente tappate da coperte.
- Perchè? Chiesi.
Mi dissero che se gli aeroplani avessero visto un filino di luce, avrebbero bombardato proprio quella zona, perchè se c'era la luce, voleva dire che c'era la vita, c'erano case, e persone.
Erano brutte le coperte sulle finestre. Non mi piacevano, ma capì presto, che quello che piaceva a me, aveva poca importanza.
In quegli anni sentii parlare molto di zio Mario e zio Aurelio, ma non li vidi mai.
Zio Mario morì un anno dopo l'inizio della guerra, zio Aurelio invece, morì qualche ora dopo che la guerra finì. Lo colpì un proiettile di mitragliatrice.
Non si seppe mai perchè, ne da dove quella mitragliata finale, arrivò.
L'unico uomo a tornare a casa, e tutto intero, fu mio padre. Un padre che per cinque anni non vidi mai.
Un uomo che non conoscevo.
Saranno state le sei di sera, visto che la luce era accesa ed io ero in braccio a mia madre pronta per essere messa a letto.
La mamma era appoggiata proprio sullo stipite della porta della camera, vicino alla cucina, quando la mia nonna arrivò a casa con un giornale in mano.
- Siamo in guerra. Non disse altro.
La mamma non fiatò, e io non capii cosa volesse dire guerra, ma capii che come la nonna disse quella parola, la casa tutta, si riempì di paura.
Paura e silenzio.
- Dobbiamo cercare Mario e Aurelio, devono presentarsi per l'arruolamento. Disse la nonna.
Queste furono le ultime parole che sentii. Poi dormii, alla grande, come una bimba d'otto mesi.
Ero troppo piccola per notare differenze tra prima e dopo lo scoppio della guerra, ma l'unica cosa che mi colpì fu che le finestre, dopo l'inizio del conflitto, quando arrivava l'ora di accendere la luce, venivano accuratamente tappate da coperte.
- Perchè? Chiesi.
Mi dissero che se gli aeroplani avessero visto un filino di luce, avrebbero bombardato proprio quella zona, perchè se c'era la luce, voleva dire che c'era la vita, c'erano case, e persone.
Erano brutte le coperte sulle finestre. Non mi piacevano, ma capì presto, che quello che piaceva a me, aveva poca importanza.
In quegli anni sentii parlare molto di zio Mario e zio Aurelio, ma non li vidi mai.
Zio Mario morì un anno dopo l'inizio della guerra, zio Aurelio invece, morì qualche ora dopo che la guerra finì. Lo colpì un proiettile di mitragliatrice.
Non si seppe mai perchè, ne da dove quella mitragliata finale, arrivò.
L'unico uomo a tornare a casa, e tutto intero, fu mio padre. Un padre che per cinque anni non vidi mai.
Un uomo che non conoscevo.
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