lunedì 28 novembre 2011

CAP. IV°

Martedì, 28 Febbraio 2006

CAP. IV°

Quando suonò l'allarme per la prima volta, la mamma mi acchiappò al volo e di corsa, insieme alla nonna raggiungemmo il rifugio.
Il rifugio era la galleria scavata sotto la collina di San Giusto, dove un paio di pietroni enormi che scivolavano su due rotaie, chiudevano le imboccature, sia per entrare, sia per uscire.
Quasi tutti i triestini erano imprigionati in quella galleria.
Eravamo stivati come sardine. Quando la mamma e la nonna si stancavano di tenermi in braccio, mi mettevano a terra, ma io ero ancora troppo piccola per poterci stare, anche se mettendomi in punta di piedi raggiungevo in altezza quasi il sedere di un adulto.
In quella ressa sarei potuta cadere e finire sotto i piedi di chiunque.
Nella galleria chiusa ci stemmo per ore ed ore, e dopo un pò incominciò a mancare l'ossigeno.
Cercammo di farci forza, ma poi uno alla volta incominciammo tutti a stare male.
Io per un pò mi distrassi a guardare le mattonelle della galleria: delle goccioline d'acqua scivolavano sulle piastrelle sporche e ne lasciavano il segno, ma la testa incominciava a fare male anche a me.
Avevamo trovato un posto quasi accettabile, perchè arrivando per ultime, trovammo spazio solo vicino ai pietroni d'entrata.
Eravamo da troppo tempo chiuse lì dentro e tutti stavano male e molta gente piangeva. Quasi tutti avevano fatto i loro bisogni e il puzzo era insopportabile. Dopo incominciarono a vomitare. Molti svennero sul pavimento più sporco e disgustoso che avessi mai visto. L'aria, non c'era più: non si poteva respirare.
La gente incominciò a strillare.
La paura, lo sporco, il puzzo erano disgustosi. Dopo non so quanto tempo, sentimmo le sirene che davano l'annuncio della fine dell'attacco.
Non ci sembrò vero.
Lentamente i pietroni scivolando all'indietro incominciarono ad aprire la galleria. A questo punto, tutte e tre corremmo il più velocemente possibile verso l'uscita per poterci salvare dalla marea umana che per uscire da quello schifo, avrebbe travolto e calpestato qualsiasi ostacolo.
Ce la facemmo, e dopo tante ore di chiuso, l'aria fresca era davvero la vita.
Una vita che rinasceva sotto il segno della paura.
Avremmo trovato ancora una casa dove vivere? Le bombe quanto di nostro avevano distrutto? Cosa c'era rimasto?
Ritornammo lentamente verso quel posto dove forse c'era ancora la nostra casa, ma nulla era come prima.
Alcuni palazzi non c'erano più, ma ne erano rimaste le macerie, le quali erano finite anche in mezzo alla strada. Scavalcammo tutte quelle rovine e poi ci guardammo in faccia contemporaneamente, e disperatamente dicemmo: 
" Mai più ". Tutte e tre intendevamo dire, che al rifugio non ci saremmo ritornate mai più.
C'erano anche dei morti tra le macerie, ma sembrava che dormissero. Si, la morte era preferibile.
Al rifugio non ci tornammo più.
La nostra casa c'era ancora, e intatta.
In tutta quella disperazione, avevamo veramente un motivo per essere felici.
postato da: Lucmerenda1 alle ore 17:05 | Link commenti

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