lunedì 28 novembre 2011

CAP. VII°

Mercoledì, 01 Marzo 2006

CAP. VII°


Fu una giornata speciale, perchè per la prima volta andai dalla parrucchiera.
La mamma mi fece fare la permanente. Fu una seccatura stare tanto tempo con i bigodini in testa e sotto il casco, ma poi fu splendido vedere sulla mia testa tutti quei ricciolini. Non la smettevo di guardarmi allo specchio. Mi ero sempre vista con i capelli dritti, ed ora invece, pettinata in quel modo mi sentivo felice, realizzata e bellissima.
Quando uscimmo in strada, il vento mi scompigliò i ricci, ma quella volta lo perdonai di spettinarmi.
Io adoravo il vento, lo adorai sempre, sin da piccolissima. Era lui che portava a me profumi sconosciuti, sensazioni dimenticate, ricordi lontanissimi, ma che sentivo tanto vicini nel mio cuore.
Il vento, allora, mi fece anche dimenticare che avevo solo tre anni, che ero ancora piccola e che forse la guerra non mi avrebbe permesso mai di diventare grande.
Quel giorno prendemmo il tram. Anche se la giornata era fredda, il sole era splendente, così ci fermammo nel giardino sotto casa, proprio vicino alla vasca dei pesci rossi che ovviamente non c'erano più, ed io giocai con quell'acqua fredda e un pò sporca.
Mi arrampicai e scesi, anche da tutte le panchine di pietra del giardino, scuotendo la testa per sentire i miei ricci nuovi.
Poi ritornai alla vasca grande e con la mamma facemmo galleggiare delle barche che lei stessa aveva fatto con delle pagine di giornale, che aveva trovato in terra. Giocando con l'acqua, mi bagnai le maniche del cappotto, così decidemmo di andare a casa a cambiarmi, ma proprio prima di arrivarci, suonò l'allarme e allora la mamma mi prese in braccio e corse verso l'atrio della nostra abitazione. Lì ci fermammo.
In quell'androne con le arcate bianche c'era un uomo molto alto e grosso, sempre in divisa grigia da portiere. Uomo che non vidi mai sorridere e che mi spaventava un bel pò.
Dopo qualche minuto, incominciammo a sentire gli aeroplani volare sopra il tetto della nostra casa, ed io mi avvicinai alla mamma che s'era appoggiata al marmo della parete, e l'abbracciai. Sentivo che se le bombe avessero colpito la nostra casa, avrei potuto anche non rivederla mai più.
Gli aeroplani volarono sopra le nostre teste, ma c'ignorarono.
Passarono oltre, e per quel giorno non li sentimmo più.
Quando le sirene risuonarono per avvertirci che il pericolo era passato, io e la mamma ci avviammo verso l'ascensore. La mamma aprì la porta di ferro battuto ed io apri quelle successive di legno e vetro giallo. All'interno dell'ascensore mi sedetti sul sedile ribaltabile di velluto rosso e raggiungemmo la nonna, nel nostro appartamento all'ultimo piano.
Nell'ingresso grande come un salone, proprio di fronte alle poltrone di vimini e pelle nera, c'era uno specchio enorme.
Proprio al centro di questo mi fermai, mi guardai a lungo e mi piacqui molto.
La nonna mi guardava stringendo le labbra e scuotendo la testa, ma senza dire nulla.
La mamma oltrepassò la nonna facendo finta di niente, senza guardarla e con estrema indifferenza.
Il discorso permanente, passò sotto silenzio.
 
postato da: Lucmerenda1 alle ore 10:47 | Link commenti

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