CAP. VIII°
Una mattina, la mamma si chinò per darmi un bacio. Poi si avviò verso l'uscita di casa, con le due solite valigione.
- Vai a Stregna? Chiesi.
- Sì, ma torno presto.
Mi strinsi a lei un pò più del solito.
- Si, torna presto.
Era una mattina, che stavo quasi bene. Il mal di gola era passato.
La mattina seguente, io e la nonna uscimmo da casa per andare a trovare un dottore amico suo, che aveva una gatta e un paio di cuccioli meravigliosi. Almeno, così mi disse la nonna.
Che bello! Io non avevo mai visto un gatto, figurarsi i cuccioli!
Ero davvero contenta, però a metà strada suonò l'allarme.
Ci fu una confusione enorme. Le serrande dei negozi vennero chiuse immediatamente, e tutte le persone sparirono più o meno all'istante.
Dieci minuti più tardi, Trieste era deserta. Tutto il mondo sembrava deserto. C'era il sole, e le ombre delle case riparavano dal caldo quel posto di nessuno. In mezzo alla strada c'ero solo io e la nonna. C'era anche una piazza assolutamente deserta.
Provai una sensazione di piacere assoluto.
Se non c'era nessuno, nessuno avrebbe potuto aiutarmi se ne avessi avuto bisogno, però era anche vero, che se non c'era nessuno, nessuno avrebbe potuto farmi del male.
Quella totale assenza d'umanità, quel silenzio assoluto, e quel sole tutto nostro, lo ricordo ancora oggi, come uno dei più bei ricordi della mia infanzia.
Andammo dal dottore. L'infermiera mi tolse il vestitino, altrimenti i gattini avrebbero potuto rovinarmelo con le loro unghie ed io lasciai fare, non so perchè. Poi mi legarono, in una poltrona e mi misero in bocca un ferro per tenerla immobile e aperta, poi il medico tagliò le tonsille.
Sputai sangue, mi rimisero il vestito ed usci di corsa in mezzo alla strada dove non c'era nessuno.
Odiai la gente.
Tutti erano bugiardi, non ci si poteva fidare di nessuno.
Sputai ancora sangue e poi mi coprii la bocca con il fazzoletto. Tra le lacrime, guardavo un mondo deserto, che sembrava un sogno. Un sogno deserto e pieno di sole. Un deserto di sogno, pieno di luce.
Forse gli aerei avrebbero distrutto anche tutto questo, ma per il momento era un sogno solo mio.
- Torniamo a casa. Disse la nonna.
- Tu vai a letto, ed io riesco, per andarti a comperare il gelato.
Quando tornammo a casa, trovai il portiere di sempre che s'inchinò, come al solito. Io vincendo la mia paura nei suoi confronti, gli feci un cenno con la testa e passai oltre.
In ascensore, mi sentii in salvo.
Il gelato fu buono, ma la mancanza di fiducia nel mio prossimo, incominciò quel giorno; imparai il significato della parola menzogna. Parola che odiai immediatamente e che non riuscii mai ad accettare. Parola che condizionò per sempre tutto il resto della mia vita.
Tra qualche giorno avrei compiuto quattro anni.
Una mattina, la mamma si chinò per darmi un bacio. Poi si avviò verso l'uscita di casa, con le due solite valigione.
- Vai a Stregna? Chiesi.
- Sì, ma torno presto.
Mi strinsi a lei un pò più del solito.
- Si, torna presto.
Era una mattina, che stavo quasi bene. Il mal di gola era passato.
La mattina seguente, io e la nonna uscimmo da casa per andare a trovare un dottore amico suo, che aveva una gatta e un paio di cuccioli meravigliosi. Almeno, così mi disse la nonna.
Che bello! Io non avevo mai visto un gatto, figurarsi i cuccioli!
Ero davvero contenta, però a metà strada suonò l'allarme.
Ci fu una confusione enorme. Le serrande dei negozi vennero chiuse immediatamente, e tutte le persone sparirono più o meno all'istante.
Dieci minuti più tardi, Trieste era deserta. Tutto il mondo sembrava deserto. C'era il sole, e le ombre delle case riparavano dal caldo quel posto di nessuno. In mezzo alla strada c'ero solo io e la nonna. C'era anche una piazza assolutamente deserta.
Provai una sensazione di piacere assoluto.
Se non c'era nessuno, nessuno avrebbe potuto aiutarmi se ne avessi avuto bisogno, però era anche vero, che se non c'era nessuno, nessuno avrebbe potuto farmi del male.
Quella totale assenza d'umanità, quel silenzio assoluto, e quel sole tutto nostro, lo ricordo ancora oggi, come uno dei più bei ricordi della mia infanzia.
Andammo dal dottore. L'infermiera mi tolse il vestitino, altrimenti i gattini avrebbero potuto rovinarmelo con le loro unghie ed io lasciai fare, non so perchè. Poi mi legarono, in una poltrona e mi misero in bocca un ferro per tenerla immobile e aperta, poi il medico tagliò le tonsille.
Sputai sangue, mi rimisero il vestito ed usci di corsa in mezzo alla strada dove non c'era nessuno.
Odiai la gente.
Tutti erano bugiardi, non ci si poteva fidare di nessuno.
Sputai ancora sangue e poi mi coprii la bocca con il fazzoletto. Tra le lacrime, guardavo un mondo deserto, che sembrava un sogno. Un sogno deserto e pieno di sole. Un deserto di sogno, pieno di luce.
Forse gli aerei avrebbero distrutto anche tutto questo, ma per il momento era un sogno solo mio.
- Torniamo a casa. Disse la nonna.
- Tu vai a letto, ed io riesco, per andarti a comperare il gelato.
Quando tornammo a casa, trovai il portiere di sempre che s'inchinò, come al solito. Io vincendo la mia paura nei suoi confronti, gli feci un cenno con la testa e passai oltre.
In ascensore, mi sentii in salvo.
Il gelato fu buono, ma la mancanza di fiducia nel mio prossimo, incominciò quel giorno; imparai il significato della parola menzogna. Parola che odiai immediatamente e che non riuscii mai ad accettare. Parola che condizionò per sempre tutto il resto della mia vita.
Tra qualche giorno avrei compiuto quattro anni.